Continua da Sulle tracce di Dante a Firenze
A pochi passi dal battistero camminando sul fianco destro del Duomo fino quasi all’abside, vi è un luogo sul quale è raccontato un aneddoto della vita di Dante rimasto impresso nella memoria collettiva della città fino ai nostri giorni. In via della Pallottola, una lapide ricorda il Sasso di Dante che altrimenti sarebbe solo un grasso masso appoggiato in terra lì sotto.
Le fonti raccontano che il poeta quando viveva a Firenze, la sera faceva una passeggiata fino a Santa Maria del Fiore che allora era ancora Santa Reparata, e si sedeva a pensare, forse a Beatrice forse ai suoi versi, ma sempre su questo Sasso. Altri raccontano che invece si sedeva qui per osservare come si svolgevano i lavori per la costruzione della nuova cattedrale iniziata in quegli stessi anni da Arnolfo di Cambio a cui fu dato l’incaricato nel 1265.

Bisogna premettere che Dante era molto conosciuto in tutta Firenze per la sua straordinaria memoria, fatto che all’epoca aveva una rilevanza molto maggiore rispetto ad oggi che abbiamo vari strumenti da consultare al bisogno, allora invece per migliorare la capacità di ricordare quante più informazioni possibili venivano utilizzate varie tecniche mnemoniche.
Un giorno quindi mentre lui era seduto sul sasso a pensare passò un uomo che gli fece una domanda all’improvviso (chiaramente in dialetto fiorentino che cercherò di riprodurre ndr) “Dante icché ti piace di più da mangiare”. Dante prontamente rispose “l’ovo” e lì si chiuse la cosa.
Passato un anno, un giorno Dante era sempre sul sasso a pensare ai suoi fatti quando lo stesso uomo ripassò di lì e sempre a bruciapelo, rivolto al poeta e per provare se era davvero così prodigiosa la sua memoria, gli chiese “coicché” e Dante memore di un anno prima rispose “Co’ i’ sale”.
Come già accennato, Santa Maria del Fiore negli anni in cui Dante era a Firenze non era stata ancora costruita, conviene comunque entrare all’interno del Duomo per vedere nella navata di sinistra un ritratto quattrocentesco di Dante che è una immagine iconica del poeta, “Dante e suoi mondi” il dipinto su tavola realizzato da Domenico di Michelino nel 1456. Fu commissionato al pittore dagli operai che lavoravano alla cattedrale, probabilmente per celebrare il secondo centenario della nascita del Poeta e per sostituire un altro dipinto di soggetto analogo che collocato nello stesso punto risalente agli inizi del Quattrocento.

Il dipinto fu pagato più del pattuito, cosa che accade raramente quindi già di per sé interessante, perché la figura del poeta risultava perfettamente realizzata in base al modello che era stato fornito al pittore e da lui valorizzata dall’aggiunta di alcune scene.
Dante è ritratto in piedi con la testa cinta di alloro e con in mano un libro aperto, la sua Commedia. A sinistra il mondo dei dannati, l’inferno, dietro di lui la collina del Purgatorio e dall’altra parte la Gerusalemme o se vogliamo il Paradiso, rappresentato come Firenze con la sua bella cupola del Brunelleschi. Un dipinto che celebrava Dante certo, ma che esaltava al contempo anche Firenze.
Oltre al valore storico-artistico il dipinto ha una curiosità scientifica da rilevare: riporta una interessante immagine della concezione del cosmo nel Medioevo. Intorno alla Terra ruotano le sfere celesti che nella concezione aristotelica del tempo sono le orbite dei pianeti fino ad allora conosciuti mentre l’ultima sfera è quella delle stelle fisse. Per Dante nella sua Commedia i cieli erano dieci e l’ultimo è l’Empireo, sede di Dio e dei Beati. Nel dipinto però il numero dei cieli non è quello di Dante ma quello più diffuso nella cosmologia medievale, quindi il pittore ci ha trasmesso la concezione dell’universo della sua epoca, una concezione che poi è stata presto messa in discussione dal sistema copernicano e dalle scoperte astronomiche di Galileo. ©RIPRODUZIONE RISERVATA
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