Il castello di Romena che ispirò l’Inferno di Dante

Una pergamena dipinta da un grande artista del Rinascimento come Sandro Botticelli e chiusa per secoli negli antri segreti della Biblioteca Vaticana. E ancora: nella pergamena è dipinta la mappa dell’inferno come se l’era figurato Dante, quando nel 1300 cantava, nella Divina Commedia, la sua discesa agli inferi attraverso i gironi infernali. Più scendeva nella voragine, più incontrava peccatori le cui anime si erano macchiate, in vita, di reati sempre più gravi e ignominiosi, e le pene a cui erano condannati in eterno, per la legge del contrappasso, diventavano sempre più aspre e dure di girone in girone, fino ad arrivare al centro della terra, dove era conficcato nel ghiaccio, dalla vita in giù, lo stesso Lucifero. Quale fascino, quale mistero, scoprire e riscoprire tutto questo nel film visto di recente nelle sale cinematografiche di Ron Howard tratto dal bestseller di Dan Brown “Inferno”. Ma a cosa si è ispirato Dante per progettare il suo Inferno in maniera tanto incisiva che ancora oggi a distanza di secoli è forse l’unica rappresentazione a cui la nostra immaginazione può attingere? Non è certo sicuro ma una ipotesi c’è ed è legata ad un luogo in Toscana che Dante conosceva bene perché vi fu ospitato più volte prima e dopo l’esilio da Firenze.castello-di-poppi-panorama-diurno

Nel 1289 si sa che Dante prese parte attiva nella Battaglia di Campaldino tra fiorentini e aretini, quando le fazioni di Guelfi e Ghibellini si scontrarono nella piana che porta ancora questo nome e che si stende ai piedi della verde collina da cui domina, dall’alto, la valle dell’Arno, il bellissimo Castello di Poppi in provincia di Arezzo. Le cronache dell’epoca riportano che la battaglia fu cruentissa con oltre 1700 morti e 2000 prigionieri e ancora oggi nei sotterranei del castello di Poppi si può ammirare il plastico del combattimento rimasto nella storia. Dante si salvò dalla carneficina e pare che già in quella prima occasione venne ospitato in un castello non distante dal luogo dello scontro, nell’alto Casentino fiesolano, il Castello di Romena a Pratovecchio.castello-di-poppi-panoramica

La fimiglia proprietaria del castello e legata da amicizia a Dante era quella dei Conti Guidi che nel 1200 avevano vasti possedimenti in Casentino, in Val di Sieve e nel Valdarno, e fino anche in Romagna. Nel 1300 la famiglia si era già divisa in più rami, indebolendo, tra le faide, il proprio potere, ma era pur sempre di grande importanza, e il signore di Romena era l’amico e compagno politico di Dante, Alessandro di Guido I Pace, che rivestiva anche l’incarico di capitano militare della fazione fiorentina dei Guelfi Bianchi di cui faceva parte l’Alighieri. Dante tornò a Romena anche dopo l’esilio da Firenze, all’inizio del 1300.

Il Castello di Romena è ancora oggi un esempio splendido di fortezza medievale, anche se molto ridotto rispetto al passato, e nel periodo estivo i proprietari lo aprono al pubblico con visite guidate. Proprio durante le visita, anni fa, venni a conoscenza del presunto rapporto che lega questo castello, e in particolare la sua Torre delle Prigioni, a Dante e quanta importanza sembra aver avuto nello stimolare la fantasia del sommo poeta.

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La Torre delle Prigioni è una delle tre torri rimaste in piedi dell’antico castello che un tempo era cinto da tre giri di mura e alla sua base aveva una fonte, la fonte Branda. Dante conosceva bene il luogo tanto da citare castello e fonte nel XXX canto dell’Inferno, nel passo dedicato ad un falsario, Mastro Adamo da Brescia. La vicenda narrata da Dante era realmente accaduta a Romena nel 1280-81 e il ricordo era ancora tristemente vivo anche a Firenze. Su richiesta dei signori del Castello di Romena, i fratelli Guido, Alessandro e Aghinolfo, antenati di Alessandro di Guido I Pace contemporaneo a Dante, Mastro Adamo coniò clandestinamente una quantità enorme di monete fiorentine con una lega che conteneva un quantitativo d’oro inferiore a quello dovuto. Quando i fiorentini si accorsero della truffa, scoprirono il falsario e lo uccisero, mentre i signori per i quali lavorava riuscirono a farla franca a poco prezzo. Su come venne giustiziato Mastro Adamo le cronache del passato sono discordi, in alcuni casi si narra che fu scoperto a Firenze e arso vivo nella stessa città, mentre in altre si parla di una sua cattura e uccisione non distante dal castello di Romena, lungo la strada che scende dal passo della Consuma, poco prima della deviazione per il castello, in una località che ancora oggi porta il nome di Omomorto.

Dato che la pena a cui è condannato Mastro Adamo nell’inferno è di non smettere mai di avere sete e non poter bere, naturalmente nel suo ricordo di Romena, vagheggia la Fonte Branda per le acque che è condannato in eterno ad agognare, ma più dell’acqua vorrebbe vendicarsi contro i due fratelli che lo avevano istigato a delinquere.

Questo è quello che Dante racconta di Romena nella Commedia ma pare che anche il suo Inferno, rappresentato come un imbuto che si conficca nella Terra fino al suo centro, con i cerchi che si restringono e i gironi che ospitano, man mano che si scende, anime dannate macchiate di peccati via via più gravi, avesse trovato ispirazione proprio qui, da quella Torre delle Prigioni dove venivano condannati e poi rinchiusi a scontare la pena coloro che commettevano reati più o meno gravi.castello-di-romena-pianta

La torre al tempo di Dante non aveva un accesso dal basso ma solo una apertura in alto da cui le guardie con i prigionieri accedevano per il camminamento di ronda della cerchia muraria. Al piano più alto della torre c’era il tribunale dove i prigionieri venivano sottoposti a processo mentre in basso erano tre piani di celle dove i condannati scontavano la pena. Le celle erano strette, umide e inospitali e lo diventavano sempre più man mano che si scendeva ai piani bassi. Più il reato era grave e più il condannato veniva calato ai livelli più profondi e bui della torre dove le condizioni di vita erano più dure.

Sembra che sia stato proprio questo a far venire l’idea a Dante di progettare l’Inferno con 9 cerchi sempre più stretti suddivisi in gironi infernali dove sono puniti peccati sempre più gravi. Ma se anche fosse vero che la torre delle prigioni ha fatto da spunto, è stata la grande immaginazione e il genio di Dante a fare tutto il resto.

Se la storia del Castello di Romena vi è piaciuta, in uno dei prossimi post vi proporrò un itinerario di castelli, pievi e luoghi di fede di incomparabile suggestione immersi nello splendido paesaggio naturale del Casentino. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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