Sacra di San Michele in Val di Susa che ispirò “Il nome della rosa”

Chi ha letto il Nome della rosa di Umberto Eco non può non essere rimasto affascinato dal monastero sul costone roccioso, con l’edificio della biblioteca sul punto più alto della montagna quasi sospeso nel vuoto, e non può non essersi chiesto se quel posto esista davvero. In effetti, un luogo che sembra abbia ispirato lo scrittore, scomparso lo scorso anno, c’è ed è molto suggestivo: un monastero costruito sulla vetta di un monte che domina la vallata, sospeso quasi nel niente come il nido di un’aquila, le cui origini affondano nel Medioevo; un luogo dedicato a San Michele Arcangelo, il capo delle Milizie Celesti, e che sorge a mille chilometri esatti di distanza da Le Mont Saint-Michel in Bretagna e da Monte Sant’Angelo in Puglia, lungo una linea retta di santuari a lui dedicati che vanno dall’Irlanda a Gerusalemme e che tracciano una diagonale sulla cartina che ricorda tanto la lancia usata dall’Arcangelo per sconfiggere il Male.

Già solo un tale mistero vale un viaggio.

E’ la Sacra di San Michele in Val di Susa, a 40 chilometri da Torino, il simbolo stesso del Piemonte, Regione che da poco ha avanzato la sua candidatura all’Unesco per inserire il monumento tra i siti patrimonio dell’umanità.sepolcro dei monaci - sacra san michele

Il punto su cui sorge è nevralgico da sempre, a dominare dall’alto la grande vallata di collegamento con la Francia, la più agevole per superare le Alpi e per questo battuta nei secoli da eserciti, mercanti e pellegrini, lungo quella Via Francigena che faceva convergere tutti i cammini provenienti dagli altri paesi del vecchio continente alla tomba di Pietro a Roma.

E per riprendere il racconto sul libro di Umberto Eco, le prime pagine che narrano dell’arrivo dei due monaci al convento risalendo il sentiero in ripida ascesa a dorso di mulo, di come avvicinandosi rimangono impressionati e quasi intimoriti dalla mole massiccia in pietra che svetta sulla punta della montagna, sembra proprio siano state ispirate dall’ascesa all’abbazia attraverso il sentiero a piedi, che per secoli hanno fatto i pellegrini e tuttora è percorribile, che da Sant’Ambrogio si staccava dalla Francigena per raggiungere la Sacra in circa un’ora e mezzo di cammino.sacra san michele val di susa

Racconta la leggenda che a scegliere quel luogo in cima al Monte Pinchierano su uno sperone roccioso a 962 metri di altezza, poi battezzato “Culmine vertiginosamente santo”, per costruire una chiesa furono gli stessi Angeli e con fare quasi birichino.

Dove in precedenza erano già due cappelle, vi avevano infatti costruito nei secoli i celti liguri, i romani e i bizantini, nel VII secolo i Longobardi innalzarono una terza cappella dedicata al loro santo protettore San Michele. Nella valle erano le chiuse di sbarramento Longobardo che segnavano il confine settentrionale dell’impero, come in Puglia era il confine meridionale a mille chilometri esatti, dove a seguito della prima apparizione dell’Arcangelo nel V secolo avevano costruito a Monte Sant’Angelo, il più antico santuario a lui dedicato. Le chiuse furono sbaragliate da Carlo Magno nel 783 mettendo a ferro e fuoco tutto e fu solo nel X secolo che il culto cristiano riprese grazie ai Benedettini di San Romualdo che vivevano in eremitaggio in anfratti rocciosi.

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Tornando alla storia degli Angeli, poco prima dell’anno mille c’era un giovane di buona famiglia della zona, Giovanni Vincenzo, che aveva lasciato tutto per seguire le orme di San Romualdo e si era ritirato sul monte di fronte a questo con l’intento di costruirvi una cappella. Così il giorno lavorava per raccogliere i materiali ma la notte tutto scompariva non si sa come rendendogli impossibile l’impresa. Fino a che non si accorse di cosa accadesse: non appena scendevano le tenebre schiere di Angeli prendevano i suoi materiali, legna e pietre, e spostavano tutto sul monte Pinchierano che evidentemente più li aggradava. Quando il giovane si rese conto di dove finisse il suo materiale si convinse a cambiare monte per proseguire la sua opera e così costruì la terza chiesa parallela alle altre precedenti.

Qui si costituì un primo nucleo religioso che a insaputa di Giovanni Vincenzo, nel frattempo era diventato vescovo di Ravenna, si accrebbe di importanza e magnificenza tanto che quando lui vi fece ritorno nel 998 se ne allontanò subito ritirandosi in eremitaggio perché non sopportava tanto sfarzo. L’epoca di massimo splendore si ebbe ad opera del nobile originario dell’Alvernia, Ugo di Montboissier, che doveva averne fatte di grosse tanto che per penitenza il papa Silvestro II gli chiese di costruire un monastero o di farsi 7 anni di esilio, e lui, che pare venisse chiamato “lo Scucito” per la sua propensione a sperperare ma di mezzi ne aveva ancora in abbondanza, comprò tutto il monte dove erano i monaci e tra il 983 e il 987 costruì la quarta chiesa, la prima abbaziale, unendo tutte le cappelle precedenti.

E’ questa l’epoca dei pellegrinaggi e tutti passavano dalla Francigena e il denaro affluiva nelle casse del convento tanto che a un certo punto fu deciso di oltrepassare i limiti dettati dall’orografia del luogo, dalla stessa montagna, costruendo nel vuoto, su un terrazzamento sospeso nel vuoto che risaliva di 26 metri in altezza fino alla cima del monte dove proprio sulla punta della roccia che fa da base ad una delle colonne, veniva poggiato il pavimento della chiesa che si innalza verso il cielo di altri 18 metri, un’opera ingegneristica arditissima per l’epoca.scalone dei morti

E narra la leggenda che quando il Vescovo di Torino fu chiamato dai monaci a consacrare la nuova chiesa accadde un fatto ancora più strano. Il vescovo si era fermato per la notte nel paese di Avigliana ai piedi del monte, tuttora carinissimo col borgo medievale con i due laghetti che lo circondano, e durante la notte fu svegliato di soprassalto: l’abbazia che andava a consacrare stava bruciando, dal paese si vedeva una gran luce tanto che sembrava che l’edificio in vetta al monte fosse arso dal fuoco e dalle fiamme. Così si mise subito in cammino e avvicinandosi si accorse che non si trattava di un vero incendio: un gran globo di luce circondava tutta l’abbazia e un via vai di angeli le volavano intorno mentre le pareti colavano di oli sacri profumati. Al che il vescovo ebbe a dire “Qui non c’è bisogno di me, è già sacra” e da questo ha preso il nome di Sacra di San Michele.

Vederla da lontano fa già impressione e varcare il portone di ingresso che immette nello scalone detto dei morti, è ancor più impressionante. La ripida scalinata si innalza vertiginosamente per i 26 metri costruiti su un terrazzamento, con le volte altissime e le colonne di oltre 30 metri che partono dalle viscere del monte per arrivare alla base della chiesa che si erge sopra. E tutto è come un enorme libro in pietra che racconta il passaggio della vita terrena, dalla nostra condizione umana che è simile alla morte, a un’altra vita: la finta scalinata che in realtà non va da nessuna parte, il bassorilievo dell’uomo che oltrepassa l’uroboro, il serpente che si morde la coda, le teche con i resti di defunti che fino agli anni ‘30 erano sullo scalone, il grande portale in marmo bianco che porta all’esterno in cima alla scala, alla luce vera e spirituale, con scolpito da Mastro Niccolao tra il 1000 e il 1150, il ciclo dello zodiaco con 11 segni zodiacali, tanti erano all’epoca e le scene bibliche.sacra san michele val di susa

Poi si continua a salire all’esterno sotto altissimi contrafforti, gli archi rampanti in pietra, realizzati però a fine ‘800 inizi del ‘900 per consolidare la struttura, fino alla porta della chiesa. Sulla porta, due facce, una sola riconoscibile, di un vecchio e di un giovane monaco, che testimonia il passaggio della conoscenza di generazione in generazione, dato che il monastero fu in quei secoli un centro di cultura e insegnamento di livello internazionale e ospitava un’importante biblioteca, tanto che il priore di San Michele, Benedetto, nel 1031 durante il concilio di Limonges diceva, non senza peccare di orgoglio, riferito alla sua biblioteca “Non esiste libro sulla terra che io non abbia”.

Purtroppo i libri antichi sono stati tutti dispersi quando il monastero venne abbandonato nel 1622. In parte furono spostati nella vicina Giaveno altri ancora furono portati via dai Savoia che li utilizzarono come doni disperdendoli ulteriormente. Nella nuova biblioteca ricostituita solo dopo il 1836 dai Padri Rosminiani a cui ancora oggi è affidata la Sacra, è tornato solo uno degli antichi, un epistolario di San Paolo in pergamena del 1583 ricomprato sul mercato, mentre uno solo è stato ritrovato nell’abbazia, rimasto nascosto in una nicchia nel muro per secoli, il “Librone dei consegnamenti” del 1530, un libro di conti che serviva a registrare le entrate e le uscite dell’abbazia con le rendite prodotte dai possedimenti nella Val Sangone.

E anche se l’attuale biblioteca conta be 10.000 volumi a noi piace immaginare ancora, su quella alta rupe, dentro quello scrigno di pietra che è la Sacra di San Michele, come doveva essere l’antica biblioteca colma di manoscritti, rotoli di pergamena, preziosi codici miniati e pensarla simile a quella riportata in vita da Umberto Eco nel suo libro. Tutte e due comunque andate disperse.

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